L’umorismo in famiglia

da Noi genitori e figli 25.09.09 di Nicoletta Martinelli

L’allegria in casa manca quando “qualcosa non va” Gli esperti ne
sono convinti: l’umorismo può “guarire” relazioni compromesse
Ridere insieme ridimensiona i problemi. E aiuta a dirsi tutto
di Nicoletta Martinelli

Che il riso abbondi sulle labbra degli stolti è opinione condivisa. Eppure, quando il riso
scarseggia se ne sente la mancanza, si rimpiangono motivi e occasioni di ilarità: e se il
prezzo di una risata genuina è passare per sciocchi si paga volentieri. «Il riso è il grande
assente nelle situazioni in cui “qualcosa non va”. Il mio mestiere – racconta Danilo Solfaroli
Camillocci, psicologo e psicoterapeuta – mi porta a contatto con famiglie e coppie in cui la
sofferenza ha progressivamente sostituito il piacere e la gioia: mi trovo spesso davanti al
rimpianto doloroso, alla nostalgia di un tempo passato insieme a ridere».
Alla relazione tra riso e sofferenza Danilo Solfaroli Camillocci ha dedicato un volume
edito da Bollati Boringhieri (pagg. 238, euro 18), scritto a quattro mani con Monica Velia,
psichiatra e psicoterapeuta in forze a Roma al Servizio sanitario nazionale: “Ridere,
ridere, ridere ancora… ” prende in esame il riso e l’umorismo nelle relazioni familiari,
tanto delle famiglie “normali” – «le virgolette sono d’obbligo, visto che l’aggettivo ha un
senso limitato», ci tiene a specificare Solfatoli Camillocci — tanto delle famiglie
disfunzionali, quelle appunto con quel “qualcosa che non va”.

Per uno psicoterapeuta della famiglia la presenza o l’assenza del riso sono segnali importanti: «Importanti in primo luogo per i membri stessi della famiglia: i figli che recriminano affermando che “in questa famiglia non si ride mai”, o uno dei coniugi che constata amaramente che “non ridiamo più” dimostrano che qualcosa non funziona come dovrebbe. la ricomparsa del riso e l’aumentare della sua frequenza sono visti come segni positivi sia dalla famiglia sia dallo psicoterapeuta e, anzi, indicano che la terapia si sta avviando alla conclusione». Saper ridere significa saper essere flessibili, trovare modi di reagire, di gestire le emozioni, di comportarsi rispetto a certi aspetti della vita senza rigidità. E questo è fondamentale in un nucleo come quello familiare in continua evoluzione: «Muovendosi nel tempo, la famiglia si trova ad affrontare situazioni nuove per le quali non sempre è preparata e per le quali è necessario un equilibrio diverso da quello precedente». Situazioni nuove ma non necessariamente traumatiche: basta pensare a come cambia la vita domestica quando un figlio – specie se è il primo – comincia la scuola, oppure quando il pargolo di casa si trasforma in adolescente. Certi schemi di comportamento di mamma, papa, dei fratelli sono a rischio grave di non essere più adeguati. E’ necessario mettere in campo la massima flessibilità possibile e l’umorismo è una grande risorsa per affrontare tutte le tappe della crescita della famiglia che vanno dal cominciare la vita a due per poi diventare tre, quattro e così via. Crescere insieme
lungo rutto l’arco che porta al rovesciamento dei ruoli – spiega Solfaroli Camillocci — quando sono i figli ad assistere i genitori e non più viceversa. In una famiglia funzionale si può giocare con questi ruoli e attuare comportamenti umoristici o caricaturali che aiutano la famiglia ad adeguare i propri comportamenti al mutare delle condizioni del ciclo vitale». In quest’ottica – si legge nel libro – la presa in giro del genitore da parte del figlio adolescente (e anche il contrario) è per entrambi un potente aiuto a rimeditare e rinegoziare i propri comportamenti relativi alla gerarchia e ad aspetti fondamentali della relazione, come la dipendenza e l’autonomia, l’appartenenza e l’individualità. Scherzare sul e con il proprio figlio, la propria moglie o i genitori è un modo di veicolare i rancori, i risentimenti, la rabbia e di esprimerli in termini accettabili per il destinatario facendo sì che questo arricchisca la relazione con la profondità di emozioni che, se espresse senza ironia, potrebbero rivelarsi distruttive. «Secondo Pirandello — spiega l’autore — l’umorismo è capace di conciliare sentimenti diversi come la rabbia e la tenerezza, la pietà e l’aggressività, l’odio e la compassione e per questo è adatto a gestire i sentimenti familiari che sono i più ricchi, i più profondi, i più mescolati e contraddittori che esistano nelle relazioni umane. Non ne esistono di simili, che prevedano contemporaneamente lo stare insieme e il volersi separare, che presuppongano l’intimità e, insieme, la capacità di essere individui non assorbiti dagli altri». Può non essere facile per un genitore subire e, anzi, stimolare la critica, per quanto umoristicamente interpretata: «Non stiamo parlando di derisione ma di ridere insieme. I ruoli gerarchici devono mantenersi: deve essere chiaro chi sono i genitori e chi sono i figli. Papa e mamma devono saper dire di no quando occorre. Il problema — ribadisce lo psicoterapeuta – riguarda la misura, quanto è netta e rigida la posizione gerarchica. Il vero problema della famiglia è che un uomo e una donna che agli occhi dei figli piccoli sono la controfigura di Dio, nel giro di trenta, quaranta anni dagli stessi figli vengono ridimensionati a qualcosa di più banalmente umano. Questo è un percorso che richiede una flessibilità di pensiero e di emozioni che il riso accompagna volentieri». Cosa intendano per umorismo gli autori del libro (che tra l’altro dedicano i capitoli iniziali a come il riso e l’umorismo siano stati valutati e interpretai nei secoli e dalle diverse culture) è presto detto: è un modo intelligente, sottile e ingegnoso di vedere, interpretare e presentare la realtà – si legge -ponendone in risalto gli aspetti insoliti, bizzarri, divertenti. Più facile a dirsi che a farsi… E chissà se si può imparare a esercitare l’umorismo: «Io credo che l’umorismo possa essere trasmesso – spiega Solfaroli Camillocci – e che chi lo possiede, se è in grado di usarlo con le persone che ama, possa diffondere il contagio. Il problema è, semmai, da dove nasca la verve umoristica e mi sono spesso domandato se in una realtà molto rigida possa germogliare comunque in termini positivi. È dimostrato che genitori che provengono da una famiglia in cui si ride danno vita a propria volta a nuclei in cui si ride molto. Questo dimostra che l’umorismo è trasmissibile ma ancora non ci dice da dove arrivi. Probabilmente nasce da persone che riescono a conciliare emozioni e significati fortemente contrastanti». Si consolino, però, coloro che sono stati cresciuti da genitori serissimi, propensi a impostare le relazioni domestiche sul rigido rispetto delle regole piuttosto che confidare sul potere coesivo della risata: anche per loro c’è speranza. «Certo per questo genere di persone le difficoltà sono maggiori. Non è certo un’equazione matematica che chi provenga da un nucleo familiare rigido replicherà lo schema una volta marito e genitore. Ma, in genere, in una famiglia dove la rigidità è molto forte – spiega lo psicoterapeuta – lo stile è anche molto difensivo, non è possibile mettere in discussione il ruolo di alcuno. Invece la validità dell’umorismo risiede proprio nella sua capacità di capovolgere il sentire comune, di permettere che nuove alternative si affaccino alla realtà. Il riso è elemento di disordine, l’irrompere temporaneo e fecondo del caos che dissolve la rigidità e ci obbliga a vedere problemi e situazioni in maniera diversa».